Opinioni che dividono: perché la morte di Berlusconi ci polarizza così tanto?
Nel fragile equilibrio dei social media, anche una singola opinione rischia di frantumare una reputazione. Perché ciò avviene?
Viviamo in un mondo così superficiale e polarizzato che persino una persona come me, che da anni fa divulgazione su pensiero critico, razionalità e scetticismo sui social, deve avere letteralmente paura di esprimere la propria opinione sulla morte di Silvio Berlusconi per timore di perdere il seguito o la stima di una fetta dei propri follower.
Ipotizziamo che io decida di esprimere la mia valutazione (positiva o negativa, è uguale) storica della figura di Berlusconi: so per certo che anche se quello che state leggendo fosse l'articolo più lungo, referenziato e argomentato del mondo, con ragionamenti articolati e diplomatici sulle ragioni filosofiche e psicologiche profonde delle mie opinioni, qualcuno sarebbe così tanto incazzato dal fatto che la penso diversamente da lui che come prima reazione annullerebbe ogni giudizio positivo che ha di me, sostituendolo con la frase
Eh allora sei un coglione, Luca. Ti tolgo il follow.
Nonostante anni di divulgazione gratuita sul pensiero critico e razionale, una singola opinione su Berlusconi rischierebbe di far cadere tutto il rispetto guadagnato, senza possibilità di scampo.
Ma quali sono le ragioni di questo atteggiamento
La mia impressione è che la maggior parte delle persone - di ogni età, professione o livello di istruzione - tenda a cadere vittima sempre più spesso del normale di uno dei tanti bias che commettiamo ogni giorno, ossia dell’effetto alone. Questo errore cognitivo ci porta a trasformare un singolo attributo nell'unico criterio per giudicare la totalità di una persona.
Quando commettiamo questo errore tendiamo a credere che una persona particolarmente alta sia anche molto carismatica, o che una persona bella e curata sia anche competenza.
Nella fattispecie, se dicessi pubblicamente
A) "sono a favore di Berlusconi", o
B) "sono contro Berlusconi"
Una fetta consistente del mio seguito mi identificherebbe istantaneamente e a cascata con molti altri aggettivi negativi.
Nel caso A) essi sarebbero: mafia, corruzione, evasione fiscale;
Nel caso B) sarebbero: comunista, politicamente corretto, centri sociali.
Perché ciò accade sempre più spesso nell’era dei social?
Nella comunicazione dal vivo è molto più semplice che il giudizio affrettato che ci formiamo su una persona a causa dell’effetto alone venga falsificato da nuove informazioni. Conosciamo una persona molto alta e inizialmente pensiamo “dev’essere molto carismatica” ma dopo la prima interazione ci rendiamo conto che, invece, è introversa e solitaria. Oppure veniamo introdotti a un ragazzo pieno di tatuaggi e costruiamo la superficiale ipotesi secondo cui è appena uscito dal carcere, ma iniziando a parlarci scopriamo che sta facendo un dottorato in Fisica, è sposato ed ha due figli.
Nella comunicazione online ciò non è possibile. Se un creator si fa un filmato mentre è in una palestra di pugilato a tirare al sacco non abbiamo modo di falsificare la nostra credenza secondo cui “sarà un manesco mezzo criminale”. Se invece streama su Twitch mentre gioca a LoL non avremo elementi per toglierci dalla testa che “sarà un nerd sfigato che non sa intrattenere una conversazione”.
Da tutto ciò possiamo intanto dedurre come il dibattito online possa facilmente portarci quasi del tutto a perdere la capacità di pensare alle sfumature e alle radici profonde delle ragioni per cui condanniamo o approviamo certe persone.
Andando nello specifico della situazione Berlusconi - di cui premetto di non essere un esperto, occupandomi nella vita di tutt’altro - uno dei commenti che ho ricevuto più spesso è stato il seguente:
Se dai una valutazione anche parzialmente positiva di Berlusconi allora sei a favore della Mafia/della corruzione/del sessismo/dello sfruttamento alla prostituzione
Nella logica di questa tipologia di messaggi possiamo vedere in atto l’effetto alone e la mancanza di capacità di riflettere sulle sfumature. Se oggi dicessi pubblicamente "ho un giudizio parzialmente positivo sulla figura storica di Berlusconi" allora ne deriverebbe automaticamente che sono a favore di tutte le cose negative citate.
Non c'è scampo: i tre anni di contenuti sulle fallacie, i bias, il pensiero critico e la filosofia che ho creato non contano nulla. E non c’è modo per me di dare prova in tempo di non essere rappresentato dalle cose negative.
La catena logica sarebbe: hai una visione parzialmente positiva di Berlusconi —> sei a favore della Mafia/corruzione/sessismo —> sei una persona cattiva e immorale —> la tua opinione non merita di essere ascoltata.
Non c’è scampo, di fronte a questa tipologia di ragionamenti. Provando ad astrarli questa è la catena di riflessioni che viene spesso fatta in situazioni simili:
Se non la pensi come me sul tema X allora sei stupido.
Se ho le prove che non sei stupido, ma comunque non la pensi come me allora sei disinformato o manipolato.
Se ho le prove che non sei disinformato e stupido ma comunque non la pensi come me, allora sei immorale o cattivo.
Se ho le prove che non sei cattivo, disinformato e stupido ma comunque non la pensi come me allora sei psicopatico o pazzo.
Questa catena di ragionamenti, fondata sullo scontro, sull'accusa e sull’ad hominem, si ferma a quest’ultimo livello ed esclude da principio la possibilità a mio avviso più razionale, diplomatica e matura:
Se tu non la pensi come me allora è probabile che tu parta da punti di vista etici diversi dai miei, sui quali possiamo confrontarci per capire se c'è un terreno di incontro.
Cosa fare?
Il punto di partenza per ribaltare questa tendenza, che a mio avviso dovrebbe essere scontato, sta nel saper riconoscere che chi non la pensa come noi è innanzitutto un essere umano dotato della nostra stessa capacità di ragionare e meritevole di rispetto ed empatia a prescindere da ciò in cui crede.
Cosa che, rimanendo nell’attualità, è esattamente il messaggio principale che a mio avviso vuole trasmettere Zerocalcare nella sua ultima, meravigliosa creazione - "Questo mondo non mi renderà cattivo” - con le storie di Cesare e di Sarah.
Se avete pianto ed empatizzato guardando la serie perché non provate a portarvi a casa lo stesso messaggio, imparando ad applicare questo principio anche nel vostro rapporto con chi online dimostra di non pensarla come voi?
Quattro riflessioni estemporanee
La prima è che molte persone tendono a considerare sempre più spesso una singola credenza decontestualizzata ("sono pro/contro Berlusconi") un indizio sufficiente per giudicare l'interezza di un altro essere umano.
Non sono così ingenuo da pensare che in alcuni casi specifici questa apparente avventatezza non sia giustificata. Se, ad esempio, appartenessi ad una minoranza vessata e costantemente minacciata il giudicare una persona sulla base del suo avere pregiudizi discriminatori nei confronti della mia categoria ne varrebbe della mia stessa sopravvivenza.
Ma non posso negare che la troppa diffusione di questo atteggiamento rappresenta un atteggiamento intellettuale che mi inquieta.
La seconda, legata alla precedente, è che in molti tendono a non ritenere possibile che una persona possa avere delle ragioni solide, rispettabili e razionali per credere in qualcosa che reputano sbagliato.
Quindi, le idee “persona che ha punti di vista che rispetto, anche se diverse da ciò in cui credo io" e "persona che sostiene/non sostiene Berlusconi" sono due credenze che non possono convivere, nella loro concezione.
In questo modo ogni punto di vista avverso viene totalmente delegittimato e deumanizzato, rendendolo a priori necessariamente figlio di stupidità, disinformazione, immoralità o pazzia.
La terza, più sottile, tecnica sul piano filosofico e legata alla fattispecie del caso Berlusconi, è che in molti confondono i fatti storici e giuridici con le loro interpretazioni.
Il fatto che A sia stato condannato dai giudici per il reato X non significa per forza che il reato X sia considerato immorale da tutti.
Analogia provocatoria: se io vengo condannato dal grande Giudice de Roma perché ho messo la panna nella Carbonara, questo non ci dice nulla:
A) sulla bontà della Carbonara con la panna e
B) sulla mia abilità come cuoco.
Allo stesso modo in cui per un fan della panna la Carbonara così fatta sarà più buona, così il reato di "evasione fiscale" per alcuni, come per i libertari e gli anarco-capitalisti, non sarà affatto una cosa immorale, ma bensì una virtuosa applicazione della disobbedienza civile.
Quindi i fatti legali possono informare il giudizio storico ma quest'ultimo, in ultima analisi, deve essere determinato principalmente dagli assiomi etici e filosofici utilizzati come criteri interpretativi. Un social-democratico avrà dunque una valutazione negativa del fatto che Berlusconi sia stato condannato per evasione fiscale, mentre per un anarco-capitalista questo renderà Berlusconi un eroe.
Il fatto rimane lo stesso mentre l’interpretazione cambia: una critica profonda e razionale deve avvenire sul campo degli assiomi etici di partenza, non sull’illecità dell’atto secondo gli standard giuridici vigenti.
La quarta riguarda una roba ancora più tecnica e astratta, ossia la sicurezza con cui molte persone sostengono la bontà delle loro posizioni etiche senza porsi domande circa i criteri di valutazione che utilizzano per definire questa supposta bontà.
Non sono così ingenuo da aspettarmi che tutti si studino Metaethics: an introduction. Per questo ho creato un post di introduzione alla domanda “cosa vuol dire fare la cosa giusta?” - tema che vorrei approfondire maggiormente in futuro.
Vorrei, però, che molte più persone imparassero ad applicare uno scetticismo un po’ più netto sulle proprie credenze, dando meno credito a ciò in cui credono. L’etica è una disciplina complessa, che ancora non ha trovato una sua dimensione oggettiva e da scienza forte.
Non vorrei peccare di eccessivo relativismo dicendo ciò, ma mi è sempre sembrato che il sostenere che le proprie credenze siano “oggettivamente vere” è un qualcosa di incredibilmente presuntuoso, figlio di una mentalità assolutista e antiscientifica.
Conclusione
Proviamo a tirare le somme.
È fondamentale, a mio avviso, capire innanzitutto che le nostre convinzioni e opinioni, anche quelle più profondamente radicate, non rappresentano l'interezza di noi stessi, ma solo una parte. Siamo esseri complessi, con una miriade di esperienze, idee, sentimenti e passioni che non possono essere ristretti in una singola posizione politica o ideologica. E se questo vale per noi allora varrà anche per gli altri.
Perché, dunque, se ci reputiamo “più della nostra singola opinione sul tema X” non dovremmo pensare che vale lo stesso anche per le persone con cui ci confrontiamo sul web?
È cruciale imparare a rispettare e apprezzare la complessità di ogni individuo, evitando di ridurlo a un mero portavoce di una posizione che riteniamo sbagliata. Questo è ancora più rilevante nell'ambiente online, dove le opinioni vengono spesso strumentalizzate e polarizzate, creando un clima di ostilità e chiusura al dialogo.
Per fare un passo avanti verso una comunicazione più efficace e rispettosa, dobbiamo imparare a mettere da parte i nostri pregiudizi e ad ascoltare l'altro in tutta la sua complessità.
Dobbiamo ricordarci che anche chi non la pensa come noi ha diritto di esprimere le proprie opinioni senza essere attaccato, giudicato eccessivamente o ridicolizzato. Inoltre, è importante che noi per primi impariamo a esprimere le nostre idee in maniera rispettosa, evitando parole e toni che possono ferire o mettere sulla difensiva l'interlocutore.
Se vogliamo vivere in una società dove il dialogo e il rispetto per le idee altrui siano la norma, dobbiamo essere i primi a dare l'esempio. Solo così potremo sperare di creare un clima di ascolto e comprensione reciproca, in cui ogni opinione, pur se diversa dalla nostra, possa essere considerata e valutata nel merito. In un mondo così polarizzato e diviso, questo è più che mai necessario.
In fondo, non dobbiamo dimenticare che, nonostante le differenze, siamo tutti umani, con le nostre fragilità e i nostri pregiudizi, ma anche con la nostra capacità di ascoltare, imparare e cambiare.